Whisper into the rock ,someone is listening in a hidden place ,receives the word ,carries it forward and makes it come true ”
Paulus Utsi
Non saprei dire chi di noi due fosse stato più stanco. Se io che non ero affatto abituata ad arrampicarmi per così molte ore – oppure se Lalla il mio compagno di viaggio – costretto a rallentare la marcia ed a guardarsi costantemente indietro per vedere se lo stessi seguendo. Fatto sta che alla prima tirata di fiato lo spettacolo davanti ai nostri occhi cancellò ogni fatica.
Una distesa inestricabile di piccoli laghi e foreste antiche che ci riportò con la mente indietro nel tempo . <<Mio padre,mi insegnò ad amare queste terre>> esordì il mio compagno di viaggio. Fin da piccolo seguii le sue orme e ricordo ancora il coltello che mi regalò quando avevo avevo poco più di 6 anni. Lo tenevo appeso alla cintura dei pantaloni e ne andavo fiero. Più tardi, quando sarei stato più grande avrei potuto catturare una renna da solo e con il nuovo coltello incidere la sottile cartilagine dell’ orecchio dell’ animale come è nostra usanza, per distinguerlo dalle altre famiglie. <<Amo questa terra>> proseguì, <<questo è l’ ambiente dove sono nato e cresciuto>>. Mentre parlava con il cannocchiale mi indicò un punto lontano. Due grandi alci correvano nella radura, forse alla ricerca di un immediato riparo. Mentre le osservavo estasiata , non potei fare a meno di pensare come il senso di appartenenza alla propria terra abbia ancora un immenso valore ; delinea una identità ben precisa a cui è difficile rinunciare.
Per lunghi istanti sembrò che tutto l’ universo fosse li con noi. E ben presto il tepore dei nostri corpi accaldati , l’ uno accanto all’ altro, ci restituì quel poco di energia rimasta che ci avrebbe consentito di affrontare l’altra parte del cammino.
Nel luogo dove eravamo diretti, Lalla – il soprannome del mio amico – aveva allestito una sorta di accampamento ; tende canadesi,fornelli da campeggio, tavolo dove mangiare e cucinare il pescato e tutto l’ occorrente per rimanere nelle zone per qualche giorno. Una zona di pesca che lui amava particolarmente e che negli ultimi anni era divenuta una meta ambita da molti appassionati di pesca a mosca. Ma c’era molta strada da fare. Caricato di nuovo sulle spalle gli zaini proseguimmo ancora per alcune ore fino ad arrivare in Myskesjon nell’ entroterra della Riserva del Rogen , nello Jamtland Un area inaccessibile ai più se non ai Sami , popolo del Grande Nord che qui possiede piccoli rifugi di caccia e pesca fin dai tempi memorabili .
Davanti ai nostri occhi un enorme bacino d’ acqua costellato da piccoli isolotti .I locali chiamavano quelle acque , the sea” – il mare. Ogni lago in Svezia che si estende a perdita d’occhio, veniva chiamato così . Un mare che non aveva i profumi di quello vero ma che evocava lo stesso belle sensazioni sia per i suoi colori che sfumavano nel blu cobalto e sia perchè riportavano alla mia mente quelle storie avventurose in cui i protagonisti salpando da porti sicuri andavano verso l’ ignoto .
Ero partita per questa avventura senza farmi troppe domande e senza chiedere spiegazioni se non lo stretto necessario per preparare lo zaino. Anche Lalla mostrava un certo imbarazzo; un italiana da quelle parti non l’ aveva mai vista. Strana combinazione la nostra! Entrambi , ci eravamo ritrovati a vivere queste giornate senza sapere l’ uno dell’ altro.
La Riserva del Rogen – dove eravamo diretti – è famosa per avere una conformazione del tutto particolare. Morfologicamente parlando ci trovavamo in una grande area rimasta intatta da diecimila anni.L’ ultima era glaciale è iniziata 115 000 anni fa, e il ghiaccio essendosi sciolto diecimila anni fa (Lo spessore dello strato di ghiaccio era di 3 chilometri) ha lasciato i terreni come scolpiti . Tipico esempio le rocce moreniche costituite dalla mescolanza di massi, ciottoli, sabbie e limi che i ghiacciai trascinano con sé nel loro movimento verso valle e che creano un paesaggio ancestrale formando labirinti inestricabili.
Lalla mi precedeva di buon passo e io arrancavo dietro a testa bassa per vedere dove mettere i piedi senza rischiare di rompermi l’ osso del collo. Lui non faceva che sorridere e continuava a ripetermi che non aveva mai visto nessuno scattare così tante foto in poco tempo. Ma come resistere? Ogni cosa aveva un suo fascino.In lontananza gruppi di renne ci osservavano. Il mio amico Sami le indicava ad una ad una. Già da quella distanza era in grado di riconoscere a chi appartenevano. Il segreto risiedeva nel taglio dell’ orecchio. Ogni famiglia che allevava le renne aveva un suo speciale metodo per marcare i giovani vitelli. Ma a me le renne, parevano tutte uguali.
Lalla, il mio compagno di avventure parlava molto poco se non per fare qualche battuta divertente o per ricordare qualche episodio legato all’ infanzia ed al padre . Ma con quel poco lasciava il segno. Su quegli altipiani era facile lasciarsi andare a pensieri profondi. Un Universo fatto di silenzi, abitati da animali solitari, le renne, gli orsi bruni, i ghiottoni, le lontre, le aquile reali. Un mondo all’apparenza spoglio e senza vita, intervallato da grandi abeti rossi, laghi primordiali dalle acque limpide e dal richiamo incessante di uccelli dal verso antico.
Di tanto in tanto Lalla si girava a guardarmi per assicurarsi che non fossi caduta in qualche dirupo – ma non rallentò mai il suo passo consueto. Ero esausta ma allo stesso tempo determinata ad andare avanti. A distrarmi contribuiva non solo il paesaggio ma anche le fitte piantine di mirtilli che tappezzavano la terra . Alcune erano così grandi che era impossibile non mangiarle fornendomi allo stesso tempo la scusa per riposarmi e tirare il fiato.
Non potevamo fermarci le cose da fare erano molte e la notte sarebbe calata ben presto. Ma finalmente lo scenario cambiò. Terminata la salita e le grosse pietre che rendevano difficoltoso il cammino un grande scenario si aprì davanti ai nostri occhi. Un altipiano dagli orizzonti infiniti costellato da piccoli e grandi laghi tanto da farlo somigliare ad un labirinto.
<<Venivo spesso qui da piccolo”, esordi’ all’improvviso Lalla. Questa è la terra che più mi rappresenta – dove sono nato e cresciuto. La mia famiglia viveva dell’ allevamento delle renne – un lavoro durissimo – in una natura ostile . La pesca era sublime, le acque fluivano impetuose e ci regalavano tante varietà di pesci . Adesso le cose sono cambiate. Il mondo moderno ha portato innumerevoli vantaggi ma ci ha anche tolto molto.>> Sebbene cittadina ,abituata in contesti urbani riuscivo a capire il suo stato d’ animo. Ma non avevo tempo di intristirmi – quasi sempre il mio amico trovava battute divertenti – legate alle difficoltà di comunicazione che ci facevano sempre intendere una cosa per l’ altra – e tutto sfumava in un sorriso.
La discesa fu magnifica. Il vento ci sospinse da dietro le spalle come intuendo le nostre stanchezze . Le mie gambe si poterono finalmente rilassare. Incominciammo ad intravedere gli abeti, i pini rossi , molti dei quali ormai ridotti a alberi secchi e senza più vita contorti dalle troppe esposizioni alle intemperie. Il paesaggio stava gradualmente cambiando. Dalle distese infinite di tappeti di mirtilli, licheni e muschi i grandi laghi fecero la loro comparsa in tutta la loro desolante bellezza. Mi sembrò che fossimo precipitati in una nuova dimensione. Tutto era così immobile come se tutta la valle si fosse improvvisamente pietrificata sotto qualche incantesimo. Con il ritiro dei ghiacci 10.000 mila anni fa tutto era rimasto come allora e la natura stessa ne era uscita provata. Gli alberi , negli anni avevano assunto forme e dimensioni contorte che però davano rifugio a tutta una serie di piccoli animali come nidi di uccelli, animali notturni e aquile reali.
Lalla, mi distanziava di alcuni metri , mi chiesi se saremo mai arrivati. Era già il secondo anno che il mio amico organizzava una sorta di campo base all’ interno di questa natura così estrema per ospitare di tanto in tanto piccoli gruppi di pescatori che sotto la sua guida potevano aver accesso a ciò che per molti costituiva solo un sogno. Le acque di quei laghi, ruscelli, rivoli custodivano una ricca varietà di pesci tra cui il temolo. Un pesce d’ acqua dolce appartenente alla famiglia dei salmonidae riconoscibile per la sua pinna dorsale molto sviluppata. le acque di questi laghi non conoscono inquinamento e si può bere direttamente attingendo il bicchiere o la borraccia.
Finalmente da lontano cominciammo ad intravedere le tende. Gli ultimi pescatori della stagione erano appena partiti ed adesso non restava che mettere a posto le tende , radunare le cose , e mettere tutti in luoghi sicuri prima che arrivasse la stagione invernale. Una tenda l’ avremmo portata con noi , sarebbe servita per dormire quella notte come del resto qualche tegame per cucinare.
La Riserva del Rogen e specialmente questa zona offre rifugio ad animali in via di estinzione – tra questi il ghiottone un predatore dalle abitudini notturne e il bue muschiato , un animale preistorico che è sopravvissuto fino ai giorni nostri e rappresenta l’ ultimo testimone dell’ era glaciale. Naturalmente troviamo anche le alci, renne e l’ orso bruno. Proprio a quest’ ultimo pensavo all’ idea di dormire in quelle tende. Ma subito il pensierò svanì perchè fui richiamata dalle chiamate ripetute di Lalla . Sarei dovuta andare a smontare le tende. Una volta piegato tutto e rimesso negli appositi contenitori una pausa si rivelò molto più che meritata. Renna affumicata e burro. Tutto di sua produzione. Non possedeva più un suo allevamento di renne ma forse un giorno ne avrebbe avuto uno tutto suo proprio come quando era piccolo. Era però giunto il tempo di mettere le cose di nuovo a posto e controllare che tutto fosse sistemato per l’ anno prossimo e procurarsi la cena per la sera.
Qui la natura offriva il suo lato migliore,. Eravamo fortunati, a parte il vento , la giornata era solare e questo ci avrebbe permesso di ritornare indietro nel luogo dove avevamo preso la barca senza troppe difficoltà.
Non avevo mai assistito alla “pesca a mosca” – una tecnica di pesca che consiste nel lanciare l’esca artificiale (detta “mosca”) a diversi metri di distanza, tramite delle tecniche di lancio a volte molto complicate – e ne ero rimasta completamente affascinata. I torrenti da queste parti sono impetuosi e l’ acqua è talmente chiara che è possibile intravedere i pesci che si insinuano tra passaggi di roccia ed un altra nel tentativo di risalire le correnti.
Non avevamo che poche cose da mangiare; un pò di renna affumicata, del pane raffermo ed a dirla tutta anche
qualche lattina di birra ma essendo astemia – guardai bene di non bere affatto. Avremmo cucinato il pescato quella sera ed attendevo con apprensione il momento in cui avremmo potuto incamminarci. Il pesce non tardò d abboccare, un bel temolo dalla carne bianca e dalla pinna a ventaglio abboccò quasi subito. Pulirlo e metterlo in salamoia fu tutt’uno tanto da lasciarmi con un palmo di naso. Mi sorpresi dalla velocità e dalla bravura di Lalla che in poche frazioni di secondo aveva salato e pepato il pescato.
Il ritorno fu quanto mai faticoso. Dopo aver lasciato il campo, chiuso le tende e messo tutto in sicurezza per l’ anno venturo ci eravamo anche caricati di un tenda dove avremo dormito quella notte . A me toccarono due materassini e un ulteriore sacco a pelo. Il carico maggiore era toccato a Lalla che non sembrava affatto preoccupato di portare un ulteriore peso sulle spalle.
Il buio sarebbe sceso molto presto. Avremmo avuto solo 3 ore di luce per arrivare alla piccola barca ormeggiata. Il tempo correva ed anche noi con esso. Il terreno era tutto in salita, accidentato, dalle grandi rocce moreniche che rendevano i nostri passi malfermi. Il pericolo di cadere era sempre in agguato e lo sguardo doveva essere un punto sempre verso il basso per essere sicuri di non mettere il piede in fallo. A rendere ulteriormente incredibile la situazione era il walkie talkie del mio compagno che continuava il suo bip a segnalarci impietosamente la fine delle batterie e con questo l’ impossibilità o quasi di poter chiamare soccorsi in caso di necessità. Mangiando i mirtilli però mi distraevo e la camminata impegnativa ebbe il benefico effetto di non farmi pensare troppo.
Il freddo comincio’ a sentirsi e pure la stanchezza. Le infinite distese davanti a noi parevano insormontabili . Fu difficile non rimanere incantati dal silenzio e dalle ombre fuggevoli di renne in fuga. Avrei voluto correre anche io e perdermi in quell’ immobilità di un tempo passato. Il mio compagno di viaggio sembrava piu’ rilassato adesso. Il lago da cui eravamo partiti era adesso comparso all’ orizzonte . Il buio stava per raggiungerci ed era quasi diventato arduo cercare di mettere i piedi tra le rocce senza correre il rischio di slogarsi una caviglia.
Trovare un area per mettere su la tenda non fu facile. Con buio pesto e con l’ ausilio delle torce riuscimmo a trovare un sorta di piccola oasi naturale , circondata dalle acque dove accamparci per la notte. Ormeggiato la piccola barca e scaricato il necessario con noi , ci preparammo a quella che fu una serata certamente da ricordare.
Era buio pesto e la luce delle due torce che ci portavamo appresso a mala pena illuminava poche decine di metri. Ci separammo, l’ uno intento a montare la tenda- l’ altra, cioè me medesima – volta alla scoperta di qualche ramo secco da sacrificare al fuoco di quella serata.
Erano poco piu’ delle 18.00 – ma il buio era già calato da un bel pezzo e cominciava a fare freddo. Mi accorsi ben presto che quell’ approdo fortuito era ricco di un sacco di betulle e pini rossi da cui ricavare un po’ di legna. Adesso il fuoco ardeva con una bella fiamma vivida, le patate erano sul fuoco e il mio compagno di viaggio si apprestava preparare il pescato con il burro, il sale, il pepe ed infine avvolgendolo nella carta stagnola pronto per essere messo sotto la brace. La carne di questo pesce prelibato dalla pinna superba era bianchissima e tenera – non avevo mai mangiato una cosa cosi’ delicata. Lo scoppiettio del fuoco e delle scintille che si disperdevano nell’ aria ci porto’ in un altra dimensione ed ognuno prese ad osservare il fuoco come in uno stato di ipnosi pensando ciascuno ad i fatti propri.
Il sonno stava per prendere il sopravvento e se non fosse stato per i richiami concitati di Lalla sarei caduta direttamente sul fuoco. In realtà i richiami concitati non erano per garantirmi l’ incolumità ma bensì si era ricordato di aver nascosto da qualche parte un piccolo cartone di vino. Cosicchè quella serata si trasformo’in un bellissimo banchetto into the wild , in uno dei luoghi piu’ sperduti della Svezia.
Il risveglio fu magnifico. Il mio compagno di tenda si era già alzato di buon ora ed un bel fuoco ardeva di nuovo difronte alla tenda. L’ odore di pancetta sfrigolante e del caffè aveva già inondato la tenda. Fitte e minutissime gocce di pioggia picchiettavano sulla tela fine del nostro rifugio e tutto sembrava davvero magico. Tutta dolorante dopo una notte spesa su un tappetino non proprio comodo e con un leggero mal di testa dovuto al vino provai a mettere il naso fuori dalla tenda. Non si udiva nessuno se non il rumore della pioggia e del fuoco che scoppiettava. La mia guida, quella mattina sarebbe stata impegnata per trasportare alcuni bagagli di pescatori che avevano affittato dei casotti non lontano da li. Però prima di partire aveva predisposto tutto per la colazione e adesso non potevo che godermela.
La notte precedente non mi ero resa conto del posto in cui ci trovavamo, il buio aveva reso tutto uguale e uniforme. Con la luce del giorno apparivo come un eremita confinato in un isolotto circondato dalle acque profonde e limacciose. Il tempo infatti era grigio e minute gocce di pioggia ticchettavano su la tenda. Una nebbiolina si estendeva all’ orizzonte . Intorno solo silenzio e il canto degli uccelli. Sorseggiando il caffè seduta accanto al fuoco caddi in una sorta di stato ipnotico. Ripensai alla giornate precedente. Le cose che avevo visto , alla natura che mi circondava , gli animali di queste terre . Mai mi ero sentita così vicino alla terra madre. Una terra primordiale un tempo permeata da ghiacci perenni e venti glaciali. Non avrei voluto svegliarmi, stavo così bene in quella sorta di “sospensione vitale” ma purtroppo era tempo di andare.
Lalla era già tornato come sempre allegro e divertito nonostante la pioggia avesse inzuppato i suoi vestiti. A suo dire non riusciva a capacitarsi che un italiana sarebbe mai potuta capitare da quelle parti – nemmeno nei suoi sogni piu’ fantasiosi. A pensarci bene, continuava a ribadirmi nemmeno una ragazza norvegese o svedese si sarebbe avventurata a cosi tante ore di cammino lontano dalla civiltà . E di questo ne andai subito fiera.
La partenza fu tutto un dire. Smontare, trasportare e caricare le vettovaglie sulla barca. Scaricare a terra ed infine rimontare il tutto su il quattro ruote motrici che ci avrebbe portato a casa. Tutto sotto una pioggia incessante che ci inzuppò fino al midollo.
Ci aspettava adesso un lento viaggio con un quod carico di cose e sotto la pioggia cercando, quanto possibile, di dribblare tra solchi e buche di fango che ci avevano già ricoperto mezze gambe.
Per molti tratti dovetti scendere. Il carico era pesante e le buche di fango così profonde da rendere quasi impossibile proseguire. L’ unica soluzione era alleggerire il carico. Cioè io. Nonostante la pioggia e la camminata a piedi tutto era magnifico. Le renne erano avvolte nella nebbia, l’ aria era umida e carica di profumi; quelli delle resine ,degli alberi che si vedevano in lontananza, là nella foresta. C’ erano pure le pernici che si alzavano in volo , altre invece si mimetizzavano tra la bassa vegetazione ed era difficile scorgerle. Ma certo la mia macchina fotografica era sempre a portata di mano.
Bello e desolante ciò che ci circondava. E non mi stancavo mai di guardare. Seguivo il mio compagno di viaggio con la coda dell’ occhio , presto sarei risalita di nuovo a bordo. Il tratto roccioso sembrò cedere a tutta una serie di piccoli arbusti e licheni che ci facilitarono il cammino. In mezzo alla nebbia oltre che alle renne spuntarono dei bellissimi arcobaleni, un arcata grande che copriva il cielo ed una più piccola. Mi ricordai di alcune strofe di una poesia Sami . Le avevo quasi imparate a memoria e suonavano pressapoco così :
Finchè avremo l’acqua, dove i pesci potranno nuotare/ Finché avremo le terre, dove le renne potranno pascolare e vagare / Finché avremo le terre , dove gli animali selvatici si potranno nascondere /allora potremo consolarci su questa terra.
Ma quando le nostre case saranno distrutte e le nostre terre devastate, dove vivremo?
Le nostre terre, sono diminuite /i laghi hanno lasciato il posto ai ruscelli/le terre annerite cantano tristemente la loro sorte / gli uccelli sono diventati silenziosi e ci hanno abbandonato / Tutto quello che di buono avevamo ricevuto Tutto quello che aveva reso facile la nostra vita è diventato inutile.
Le strade in pietra rendono il nostro procedere doloroso/ I popoli delle terre selvagge piangono nei loro cuori/e il loro sangue scorre come l’ acqua senza nessun ruggito.
Poesia dal Saami, Paulus Utsi